In questa pagina vi illustrerò da cosa è composta principalmente una reflex digitale quali sono i suoi componenti e le loro funzioni come si evince dalla foto a destra che raffigura tutte le parti di una macchina come in questo caso un corpo di una 7d.
Ma vediamo nel dettaglio i vari componenti:
IL SENSORE
Bene, un sensore altro non è che un rettangolino di
silicio, pieno zeppo di fotodiodi e dotato dei vari
collegamenti necessari, sia interni che verso il resto
delle componenti della fotocamera. In pratica la griglia
di fotodiodi, solitamente di forma rettangolare, viene
innestata su un wafer (cioè una lastra circolare)
di silicio, ed al termine di un delicato processo
produttivo da ogni wafer si ricava un certo
numero di sensori. S'intuisce facilmente che, partendo
da una lastra di silicio di una data dimensione, più
sono grandi i sensori richiesti minore è il numero che
se ne riesce a tirar fuori. Insomma, data una torta, più
sono gli invitati più piccole saranno le fette, c'è poco
da fare! Questo è uno dei motivi per cui più il sensore
è grande, più costa.
APS-C
Si sarà notato che alla voce "APS-C" si sono indicate misure
approssimative. Perché? Bisogna fare un passo indietro. APS
è una sigla che sta per Advanced Photo System, un sistema
fotografico (che richiedeva fotocamere e rullini appositi)
lanciato alcuni anni fa che utilizzava una pellicola di
dimensioni ridotte rispetto ai classici rullini che tutti
conosciamo (quelli in cui ogni fotogramma misura 24x36mm).
Tra le caratteristiche dell'APS, che commercialmente non ha
mai sfondato, c'era la possibilità di scattare foto in tre
formati diversi:
Classico (APS-Classic, ovvero APS-C: 23,4x16,7mm), così definito perchè rispettava il rapporto 2:3 della pellicola (cioè il lato lungo è grande una volta e mezza il lato corto)
HDTV, ovvero APS-H: ogni fotogramma misurava 30,2x16,7mm, con un rapporto tra i lati di 16:9, adatto quindi ai televisori di nuova generazione
Panorama, ovvero APS-P: ogni fotogramma misurava 30,2x9,5mm, quindi presentava un marcato effetto panorama
Ora, le fotocamere digitali ad obiettivo intercambiabile adottano – salvo pochi modelli che usano un sensore grande quanto la pellicola, cioè 24x36mm – sensori che hanno misure simili a quelle dell'APS-C, con lievi differenze a seconda del produttore e della fotocamera: 22,7x15mm, 22,2x14,8mm, 23,7x15,6mm, 23,6x15,8mm, e così via. Questo insieme di formati viene generalmente indicato con la sigla "APS-C".
I megapixel
Abbiamo detto che ogni sensore è composto di un certo numero
di fotodiodi, disposti come una scacchiera. Ogni fotodiodo è
in grado di catturare una certa quantità di luce e per
conseguenza genera una carica elettrica, che viene raccolta
da dei circuiti pure disposti sul sensore e convogliata
verso i componenti della fotocamera preposti
all'elaborazione dell'immagine (insieme, purtroppo, al
rumore, che è una triste costante di tutte le
apparecchiature di questo tipo). Quindi le fotografie
digitali sono composte da un certo numero di punti (che non
a caso si chiamano anche pixel, che sta per Picture
Element), ed ogni punto è generato da un fotodiodo. Per
esempio, se da una fotocamera digitale si ottiene una foto
grande 2560x1920 pixel, sappiamo che il suo sensore ha in
tutto 4.915.200 fotodiodi (basta moltiplicare 2560 per
1920), cioè quasi cinque milioni. Insomma, è una fotocamera
da cinque megapixel.
In realtà ogni fotocamera ha sempre qualche pixel in più,
perché non tutti quelli presenti sul sensore vengono usati
per creare l'immagine (ma servono ad altri scopi, diciamo
così, "di servizio", relativi ad esempio alla temperatura
dei colori, al contrasto, e così via). Ecco perché talvolta
si parla di "risoluzione effettiva", indicando i pixel che
realmente sono utilizzati per formare la fotografia.
CCD o CMOS?
Semplicemente i sensori si dividono in
due categorie, appunto CCD (Charge-Coupled Device,
dispositivo ad accoppiamento di carica) e CMOS (Complementary
Metal Oxide Semiconductor). I processi di fabbricazione
dei due sensori sono differenti, così come lo è la
disposizione dei circuiti su di essi, fermo restando che si
tratta sempre di piastrine piene di fotodiodi che raccolgono
la luce e la convogliano.
Ai fini fotografici la differenza più rilevante è quella
relativa proprio alla raccolta di luce. Nei CCD la carica
elettrica immagazzinata dai singoli fotodiodi viene
trasferita, accumulandosi man mano lungo le file di
fotodiodi, fino ai bordi del sensore, dove poi viene
amplificata ed infine convertita in un segnale digitale (da
un apposito ADC, Analog-to-Digital Converter). In
pratica la carica elettrica viene letta una riga alla volta,
e poi il parziale (di ogni riga) viene riportato alla riga
successiva e così via, in sequenza, fino a coprire l'intero
sensore.
Chi ha studiato un po' di elettronica si rende conto che in
un sensore CCD, dunque, viene trasportata della carica
elettrica. I sensori fabbricati con un processo di tipo
CMOS, invece, lavorano diversamente: ogni fotodiodo dispone
di un amplificatore e di un convertitore, quindi la carica
elettrica accumulata viene convertita in differenza di
potenziale – il cui trasporto richiede molta meno energia.
Se tutto questo vi dice poco, limitatevi a prendere atto
solo della conseguenza più evidente: a parità di altre
condizioni, un sensore CMOS consuma meno di un sensore CCD.
Senza dilungarsi sui dettagli delle due tipologie di
sensori, possiamo elencare alcuni punti fermi riguardo i
sensori di tipo CMOS:
tendono ad essere di più facile fabbricazione e più economici
consentono di implementare stesso sul sensore dei componenti che i sensori CCD non ospitano (l'amplificatore, l'ADC), e questo porta alla realizzazione di chip più piccoli: ciò spiega perché i sensori di tipo CMOS sono la norma sui cellulari, sulle fotocamere compatte, e così via
come detto, a parità di altre condizioni consumano (e scaldano) di meno
A questo punto verrebbe da chiedersi perché si trovino ancora in giro dei CCD – ed anzi perché i sensori destinati ai dorsi medio formato, prodotti di elevata qualità e dalla squisita vocazione professionale (per non parlare dei prezzi)siano sempre e solo CCD. La risposta è: qualità d'immagine. I sensori CCD hanno le potenzialità per offrire una maggiore gamma dinamica, meno rumore e maggiore sensibilità.
Non che i CMOS non vadano bene, intendiamoci: attualmente tutte le reflex – anche quelle professionali – del marchio leader di mercato, Canon, sono basate su sensori di tipo CMOS. La verità è che non esiste una tecnologia intrinsecamente superiore all'altra, perché il risultato finale dipende da come la tecnologia viene implementata.
In generale i sensori CMOS hanno due limiti: il rumore e la sensibilità. Poiché c'è un amplificatore per ogni fotodiodo, basta una minima disuniformità nel funzionamento di uno o più di questi amplificatori per generare pixel irregolari e/o disturbati: di qui la maggiore tendenza al rumore, per minimizzare la quale naturalmente esistono vari sistemi sui quali non ci dilunghiamo. Inoltre, proprio la maggiore presenza di circuiteria sul sensore genera più rumore rispetto ad un CCD - perché, come si è detto più sopra, un po' di rumore accompagna inevitabilmente ogni componente elettronico.
Quanto alla sensibilità, sempre perché i sensori CMOS ospitano più circuiti (rispetto ai CCD), ne deriva che una parte della loro superficie non è destinata alla raccolta di luce (la percentuale di un punto realmente utilizzata per raccogliere luce si chiama "fill factor") ma appunto ad ospitare tali circuiti; a questo si può ovviare adottando delle microlenti, come descritto più sopra, e naturalmente il miglioramento dei processi produttivi consente di fabbricare circuiteria sempre più piccola (e quindi di "sprecare" meno spazio sul sensore).
L'OTTURATORE
l'otturatore è il dispositivo meccanico o elettronico che ha il compito di controllare per quanto tempo la pellicola o il sensore (nelle fotocamere digitali) resta esposto alla luce.
Facendo un parallelo con l'occhio umano, mentre l'iride rappresenta il diaframma, la palpebra dà un'idea dell'otturatore.
Gli otturatori possono essere classificati in due tipi:
otturatori centrali
otturatori a tendina
Al primo tipo corrispondono tutti gli otturatori dotati di lamelle disposte a raggiera, in modo simile a quelle del diaframma.
Il secondo tipo è un otturatore composto da due superfici di stoffa o metallo disposte parallelamente lungo il piano focale, che scorrono verticalmente formando una fessura che lascia passare la luce.
Se il tempo richiesto è lento, la prima tendina raggiunge il fine corsa e conseguentemente parte la seconda che copre la pellicola concludendo l'esposizione.
In caso di tempi più rapidi, la seconda tendina viene azionata durante la corsa della prima, quindi la pellicola non viene esposta contemporaneamente lungo tutto il fotogramma, ma solo attraverso la fessura formatasi dal ritardo fra la prima e la seconda tendina.
L'otturatore, insieme al diaframma (che regola l'intensità della luce), è un fattore indispensabile per determinare una corretta esposizione, la giusta regolazione dell'apertura diaframmale combinata con la giusta regolazione del tempo di otturazione consentirà di impressionare la pellicola o il sensore esattamente con la quantità di luce richiesta (intensità x tempo) per un'esposizione perfetta.
Il tempo di otturazione può essere utilizzato in modo creativo, infatti scegliendo un tempo lento si può catturare un soggetto ed esaltarne il movimento (mosso creativo), oppure scegliendo un tempo rapido si può fissare (congelare) un soggetto in movimento e aumentare la nitidezza dell'immagine.
Nelle moderne macchine fotografiche, i tempi dell'otturatore sono selezionabili da una ghiera oppure, negli apparecchi elettronici, da pulsanti o comandi digitali.
Una tipica serie di tempi (o velocità) di otturazione in frazioni di secondo è la seguente:
8 4 2 1 1/2 1/4 1/8 1/15 1/30 1/60 1/125 1/250 1/500 1/1000 1/2000 1/4000
Nella scala dei tempi ogni valore è circa la metà di quello che lo precede e circa il doppio di quello successivo.
Di norma i valori inferiori al secondo sono visualizzati solo con il divisore: 1/125 diviene 125.
Come per la scala dei diaframmi, l'intervallo tra i diversi valori dei tempi di otturazione viene indicato in gergo stop.
Aumentando/diminuendo di uno stop il tempo di otturazione raddoppia/dimezza la quantità di luce che arriva al supporto sensibile.
Per esempio se si aumenta di 1 stop il tempo di otturazione, senza variare il valore di apertura del diaframma, si aumenta di un 1EV l'esposizione calcolata dall'esposimetro, il che significa raddoppiare (2X) la quantità di luce che penetra attraverso l'obiettivo.
Ma se contemporaneamente chiudiamo di un 1 stop l'apertura del diaframma, per cui dimezziamo la quantità di luce che penetra attraverso l'obiettivo, si ha una compensazione e il valore esposimetrico (EV) rimane invariato.
IL PENTAPRISMA O PENTA SPECCHIO A TETTO
Come dicevamo, l’immagine inquadrata da una reflex entra nell’obiettivo e viene riflessa verso l’alto da uno specchio collocato davanti al sensore ed inclinato a 45°. Per arrivare all’occhio del fotografo questa immagine deve fare una seconda curva a 90°. Come fargliela fare?
La cosa più semplice sarebbe quella di utilizzare un secondo specchio inclinato di 45°.
In questo caso però l’immagine si presenterebbe capovolta.
Per evitare questo occorre usare un dispositivo ottico più complesso che attui una doppia riflessione, un doppio capovolgimento che riporti quindi l’immagine così come ripresa dall’ottica. Questo dispositivo può essere un pentaprisma o un pentaspecchio, che svolgono la stessa funzione ma in due modi differenti.
Pentaspecchio
Il pentaspecchio è un componente ottenuto incollando insieme una serie di specchi.
Ha una maggiore leggerezza ed un costo più contenuto, ma le riflessioni
vetro/aria che avvengono al suo interno provocano una perdita di
luminosità.
Pentaprisma
Il pentaprisma è un solido di vetro ottico.
E’ più pesante e più costoso del pentaspecchio, ma le rifrazioni della
luce che si verificano all’interno del vetro pregiato di cui è composto
permettono di far arrivare all’occhio del fotografo una maggior quantità
di luce.
Per questi motivi è solitamente utilizzato solo nelle reflex di classe medio-alta.
Le Canon di fascia consumer usano ad esempio un pentaspecchio (EOS 1000D
, 1100D, EOS 550D
, EOS 600D). Il pentaprisma è utilizzato dai modelli superiori, semi-professionali e professionali a partire dalla EOS 60D
in su.
IL DIAFRAMMA
Il diaframma ha un funzionamento simile a quello dell’iride nell’occhio , cioè
chiudersi o estendersi al variare delle condizioni di luce . Questo
succede anche nella fotografia con una scala adimensionale f che ne misura l’apertura riportandone i valori che vanno in genere da 1 a 32 ( in teoria all’infinto ).
1 – 1.4 – 2 – 2.8 – 4 – 5.6 – 8 – 11 – 16 – 22 – 32
questi valori sono impostati in modo che tra l’uno e l’altro ci sia un
dimezzamento della luce necessaria ad esempio ad 1.4 avremo bisogno
soltanto la metà del tempo di scatto rispetto a 2 .
Scattare in priorità diaframma (AV) è una delle
regolazioni preferite da fotografi poichè consente di ottenere un
risultato creativo a seconda di come questo viene impostato .Un’altra cosa importante da tenere in considerazione è il
tempo necessario per catturare la foto infatti avendo un diaframma
aperto la quatità di luce che lo attraversa è maggiore e di conseguenza
ci vorrà meno tempo per scattare.
MIRINO
I due componenti
fondamentali del sistema sono un prisma a cinque facce, noto come il
pentaprisma e uno specchio mobile che può assumere due posizioni,
sollevato in alto in modo da scoprire il piano pellicola e permettere lo
scatto di una foto, oppure inclinato di 45º; questa seconda posizione
permette di riflettere verso l'alto l'immagine che viene dall'obiettivo;
i raggi luminosi entrano nel pentaprisma passando attraverso un vetrino
di messa a fuoco, e nel pentaprisma vengono riflessi due volte fino ad
arrivare all'oculare e all'occhio del fotografo.
Il vantaggio di usare un pentaprisma sta nel fatto che le due
riflessioni capovolgono l'immagine proveniente dall'obiettivo, già
capovolta, e quindi inviano al fotografo un'immagine dritta.
Il grande vantaggio del mirino reflex sta nella possibilità di
inquadrare la scena attraverso l'obiettivo
stesso e di vedere quindi esattamente l'immagine che finirà sulla
pellicola (o sul sensore). Cambiando obiettivo il mirino reflex continua
a funzionare perfettamente senza bisogno di alcun aggiustamento. Per
questo motivo il mirino reflex è usato prevalentemente dalle fotocamere a
obiettivi intercambiabili (e in molte fotocamere con obiettivo zoom).
Accanto a questo enorme vantaggio il sistema reflex ha anche qualche
svantaggio: un attimo prima dello scatto lo specchio deve essere
sollevato per consentire alla luce di arrivare al piano della pellicola
(o del sensore);
questo sollevamento provoca inevitabilmente qualche vibrazione con
possibilità di micromosso; questo problema è spesso ricordato dai
sostenitori delle fotocamere con mirino a telemetro (tipo Leica). E le
fotocamere reflex più raffinate prevedono la possibilità di sollevare
manualmente lo specchio prima dello scatto; un'operazione questa
possibile solo in combinazione con l'uso del cavalletto; con lo specchio
sollevato infatti il fotografo non vede più la scena da inquadrare!
Un altro svantaggio del sistema reflex è la necessità di realizzare fotocamere con un tiraggio
piuttosto elevato (~42-47mm); la cosa è inevitabile per lasciar spazio
allo specchio, ma rende più ingombrante la fotocamera reflex e più
complessa la realizzazione di obiettivi grandangolari.
Questi due difetti del sistema reflex non sono stati comunque tali da
impedirne l'enorme successo, anche perchè si sono nel corso degli anni
trovate tecniche per ridurre al minimo le vibrazioni dello specchio e
per progettare obiettivi grandangolari di grande qualità.
E negli ultimi anni si sono imposte le DSLR (digital single lens reflex)
reflex digitali che al posto della pellicola hanno un sensore CCD; a
differenza delle compatte digitali le reflex digitali non possono
utilizzare il monitor LCD sul dorso per inquadrare la scena, per il
semplice motivo che il sensore CCD è coperto dallo specchio. Nel 2007
però Olympus è riuscita ad aggirare l'ostacolo con la E-330 che riesce a
visualizzare un'immagine live view sul monitor LCD in due modi:
a) sollevando lo specchio (ovvio!); b) inserendo un sensore apposito tra
lo specchio e l'oculare. Monitor live view sono ora (2010) presenti su molte reflex Canon e Nikon oltre che su tutte le Olympus posteriori alla E-330.


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